di Claudia Tubertini*
“Quattro Venezie per un Nordest. Rapporto su Venezia Civitas Metropolitana 2019” realizzato dalla Fondazione per Venezia grazie ad un team di ricercatori delle Università Cà Foscari e IUAV coordinato dal Professor Paolo Costa, dimostra la difficile compatibilità tra la geografia economica e quella amministrativa, e, all’interno di questa, tra la lettura economica e quella istituzionale delle città metropolitane. Con dovizia di dati, gli autori ci mostrano infatti lo scollamento tra la Città metropolitana di Venezia, così come individuata dal legislatore (coincidente con il territorio dell’ex Provincia) e la città lagunare (o sistema urbano quotidiano), da un lato, ed ancor più, la cd. Civitas metropolitana, comprendente un’area di ben 68 comuni ricompresi nelle tre province di Venezia, Padova e Treviso (ma non coincidenti con il loro insieme). E’ uno scollamento che appare particolarmente grave, secondo quanto riportato nel rapporto, proprio per il ruolo strategico che un’area urbana funzionale del Nordest, riconosciuta e dotata di adeguata governance, potrebbe avere per la crescita dell’intero Paese (per la sua collocazione geografica, per la particolare attrattività, per la presenza al suo interno della cd. Venezia storica, centro di attenzione mondiale). Tale scollamento ha avuto ripercussioni anche nell’attuazione delle politiche europee di sviluppo: nel POR Fesr Veneto 2014/2020, l’attuazione dell’asse 6, dedicato allo sviluppo sostenibile delle aree urbane, ha visto una trattazione separata di Padova, Treviso e Venezia; e solo in alcuni casi le cd. Autorità Urbane sono state costituite con il meccanismo del “partenariato urbano” (con la stipulazione di protocolli di intesa e la costituzione di organismi collegiali di coordinamento, coinvolgenti comuni diversi dai capoluoghi). Nessun ruolo ufficiale è stato, del resto riconosciuto all’ente “Città metropolitana di Venezia”.
Il tema della ricerca coinvolge, evidentemente, anche molte altre aree metropolitane italiane: basta scorrere la più recente lista delle FUA (Functional Urban Areas) stilato da OCSE e Commissione UE nel maggio 2019, per notare che i confini delle città metropolitane italiane e quelli delle “Metropolitan FUAs” e delle “Large Metropolitan FUAs” non coincidono mai. Per questo motivo, in una fase, come quella attuale, di riconsiderazione complessiva degli effetti prodotti dalla riforma dell’ordinamento locale del 2014, appare ineludibile anche affrontare il tema della perimetrazione delle Città metropolitane già istituite, per adeguare aree metropolitane «reali» ed aree metropolitane «legali». Tale esigenza appare rafforzata dall’imminente apertura della Programmazione FESR 2021-2027, che fissa nuovamente come priorità per l’Italia proprio quella di incentivare la crescita sostenibile nelle aree urbane (intese nel senso funzionale sopra detto).
Da quanto sinora detto è evidente come appare urgente lavorare su più piani: anzitutto, quello delle aree urbane metropolitane, in cui la soluzione istituzionale può essere mantenuta, ma con meccanismi che ne rendano permeabili i confini amministrativi. Si possono, a tal fine, valorizzare gli strumenti di collaborazione già previsti dall’ordinamento e rendere possibile una geometria variabile delle funzioni metropolitane all’interno del rispettivo territorio, ma anche, perché no, eliminare definitivamente dall’area metropolitana legale i territori che non rientrino nell’area urbana funzionale così come identificata a livello internazionale ed europeo.
Per le aree urbane medio-piccole, invece, la soluzione cooperativa, a partire dai modelli già sperimentati per l’attuazione dei POR, è quella naturale. Questi modelli vanno però rafforzati, cercando, tra quelli già in atto, i più rispondenti ad una logica di reale collaborazione, che non veda il comune capoluogo/capofila attore in definitiva unico delle scelte.
*associata di diritto amministrativo, Unibo claudia.tubertini@unibo.it