di Ilaria Mariotti e Dante Di Matteo*
I ricercatori del Progetto COST Action 18214 The Geography of New Working Spaces and the Impact on the Periphery https://www.facebook.com/COSTActionCA18214NeW.Sp si stanno interrogando sul possibile impatto della pandemia da Covid-19 sugli spazi di coworking e sui loro utilizzatori (coworkers)
Così come accaduto per la routine di chiunque in ogni angolo del pianeta, il contenimento sociale necessario a frenare l’avanzata del virus ha sollevato anche l’esigenza di rivedere le modalità di lavoro degli individui: molti professionisti privati e dipendenti pubblici sono stati esortati a lavorare in smart working (lavoro agile). Quand’anche utile a testare il (non ancora noto) buon funzionamento relativo all’erogazione di molti servizi (soprattutto nella PA) in modalità placeless, la dematerializzazione del luogo di lavoro può produrre effetti decisamente negativi per molti altri lavoratori del terziario. È sicuramente il caso della classe di lavoratori creativi e digitali, ad alta intensità di conoscenza e innovazione, molti dei quali sono utilizzatori ordinari degli spazi di coworking (CS) che, essendo concentrati prevalentemente nei grandi centri urbani [Mariotti, Akhavan 2018], necessiteranno di tempi non brevi per il ripristino di tutte le attività e il graduale ritorno alla normalità.
La rivista Eyesreg ha recentemente pubblicato un nostro articolo http://www.eyesreg.it/2020/coworking-in-emergenza-covid-19-quali-effetti-per-le-aree-periferiche/ che discute di possibili piani per la rilocalizzazione o riconversione delle attività degli spazi di coworking e dei loro utilizzatori in aree periferiche, qualora possano rappresentare una soluzione praticabile all’esodo dei coworkers dai CS: tra le varie ragioni, si rileva l’evidenza secondo cui i coworkers che lavorano negli spazi in periferia hanno maggiori possibilità di incrementare i propri ricavi rispetto a coloro che operano nelle aree urbane, come risulta da una indagine diretta a un campione di 326 coworkers, distribuiti su tutto il territorio italiano.
Tale suggestione potrebbe risultare di interesse per i gestori dei coworking, per gli utilizzatori degli stessi e per i decisori politici, al fine di rimodulare e riprogrammare una graduale (auspicata) ripresa delle attività, a margine del periodo di emergenza sanitaria. Le aree interne, anche in funzione del quasi naturale isolamento che ne accompagna la relativa geografia, paiono essere le meno colpite dal Covid-19, ed è probabile che proprio tali aree saranno le prime a poter rimuovere le barriere del distanziamento sociale, rientrando nei regimi della normalità in maniera più rapida rispetto ai grandi centri urbani e trasmettendo un’immagine di sé stesse quali safe places.
In definitiva, se si considera che l’essere localizzati in tali luoghi può essere profittevole sia per il territorio ospitante [Fuzi 2015; Eder 2019], sia per gli individui coinvolti nei nuovi luoghi del lavoro, scenari quali la rilocalizzazione di coworking e coworkers in aree periferiche potrebbero rappresentare più di una semplice ipotesi.
*DAStU Politecnico di Milano ilaria.mariotti@polimi.it, dante.dimatteo@polimi.it