di Tony Fede*
Si sta sempre più dibattendo sulla necessità di trovare una dimensione diversa dell’insediamento dei territori tra la ricerca della qualità urbana e l’enfasi del piccolo è bello con riguardo ai borghi delle aree interne.
Il territorio non si analizza/governa stabilendo categorie razionali ma individuando processi ragionevoli che permettano di mettere a fuoco un tema unico che è quello del suo funzionamento integrato e sostenibile. Dove l’aggettivo deve nascondere fondamentalmente una filosofia di cura del presente per il futuro dettando forme diverse di rapporti e qualità che potremmo chiamare Sostenibilismo, un quadro di coerenza dei processi di sostenibilità.
Sostenibilità è una tensione, è un progetto, non ha senso in se ma solo se associata all’elemento sostantivo che deve essere trasformato e/o soggetto a processi sostenibili. Occorre quindi fare spazio alla possibilità/necessità di ciò che può permettere di processualizzare e interiorizzare la sostenibilità, il Sostenibilismo. L’ismo denuncia la volontà di farne una filosofia.
Una nuova filosofia indispensabile per lavorare su nuove forme di pensiero e sociali che si sottraggano all’imperativo consumistico e orientino relazioni e comportamenti verso una dimensione di economia circolare e nuovi comportamenti sociali. In questo scenario credo che per parlare di vera sostenibilità occorre che si mettano in crisi le forme attuali di rapporto con il territorio da parte delle società insediate.
Il territorio dovrà essere inteso come luogo di creazione di processi di emancipazione dall’economia finanziarizzata e di ricostruzione della Comunità attorno ai beni comuni finiti e irrinunciabili. Ritengo che sia maturo il tempo per pensare a un socialismo sostenibilista. Un socialismo che diffonda la cultura di una forma di pensiero postmodernista e postcapitalista nel quale vincono le dinamiche sociali e interumane prepolitiche, comunitarie. Nel quale al razionale subentri il ragionevole; al progetto il processo; al consumo l’economia circolare; al design il circular concept.
Occorre che la città in questo nuovo concept filosofico/operativo risponda, alle sfide future, non con la continua e estenuante adattabilità e eroica resilienza, ma con la ricerca di una dimensione giusta che è quella data dalla sua capacità di gestire ottimalmente servizi e prestazioni. Occorre quindi perseguire una dimensione autopoietica, quella dimensione dell’essere esattamente grande quanto permettano le tecnologie e le capacità gestionali, valutati nella loro efficienza e efficacia, per il benessere dei cittadini.
Una dimensione nella quale la popolazione insediata si ritrova a vivere una dimensione di Comunità. Nella quale la sua Amministrazione riesce a soddisfare il processo sostenibilista, inteso come dinamica di coscienza individuale e collettiva che rende efficace l’impellenza di una svolta del pensiero in rapporto alle sfide dei cambiamenti climatici, nella valorizzazione delle risorse materiali e immateriali, quel Capitale sociale e materiale che produce reale sviluppo locale sostenibile.
Una grande sfida nella quale la città è destinata a rappresentare fisicamente e strutturalmente i nuovi/vecchi modi di vita nei quali contemplare il soddisfacimento del fabbisogno abitativo e la riqualificazione delle periferie.
Se la città vuole vincere le sfide del futuro, deve trovare tutte le declinazioni che il territorio dove vive le suggerisce. Deve riprendere a essere presidio per il territorio e parallelamente essere luogo dei nuovi lavori dematerializzati. Deve attrarre popolazione per rimpolpare quei territori interni e periferici dove promuovere forti dinamiche di sviluppo locale sostenibile unico processo che riesce a promuove l’emancipazione economica e culturale.
Uno scenario nel quale la città assume tutte le declinazioni senza che alcuna di queste prevalga sull’altra, restituendo alla città il ruolo originario di ordinatrice del territorio e produttrice di senso di appartenenza e di Comunità Operanti.
* Architetto planner architettofede@gmail.com