di Francesco Gastaldi*
Venne la crisi del 2008 e gli effetti successivi, ancora evidenti, non metabolizzati, venne la recente pandemia che ha aperto nuove incertezze e nuovi interrogativi sul futuro: l’uso del recovery fund, le prospettive del south-working, la possibile riscoperta dei borghi e delle aree interne, il turismo di prossimità, il dibattito sul “modello Milano”. Nell’ambito del Nord si possono riconoscere contesti socio-economici in rapida trasformazione (con domande, processi e specificità locali che permangono molto forti) che le istituzioni pubbliche non possono semplificare o ignorare, se non con il rischio di produrre diagnosi errate e terapie inefficaci. La pandemia ha accelerato processi, ma ha evidenziato anche ritardi, anche nel processo di riconoscimento dei cambiamenti profondi che stanno avvenendo.
Nel 2008 in un saggio del sociologo Aldo Bonomi parlava del “Rancore del Nord” (Feltrineli, Milano, 2008), 12 anni dopo potremmo chiederci se questo rancore è aumentato o diminuito, come evolve questo malessere che in pochi hanno il coraggio di raccontare e tematizzare. Nel frattempo, le diverse fasi di crisi hanno fatto emergere una nuova domanda di rappresentanza e governo del territorio che ha visto molti attori di politiche pubbliche del tutto impreparati. In un quadro di destabilizzazione sembra ancora mancare una politica in grado di interpretare e offrire scenari concreti di futuro, di prefigurare percorsi ai principali attori sociali ed economici, manca un ruolo di guida e di accompagnamento dal lato delle politiche istituzionali, il Nord si sente spesso abbandonato. C’è il rischio che il rancore, più che diminuire, possa aumentare.
Nel novembre scorso, una polemica fra il titolare del dicastero per il “Sud e la Coesione Territoriale” e il sindaco di Milano Giuseppe Sala, aveva alimentato una discussione accesa sul ruolo del capoluogo lombardo nei processi di sviluppo. Il contendere? L’eterna dicotomia Nord e Sud (e intera Italia). In una lettera al Corriere della Sera, Provenzano aveva articolato il suo pensiero, in agosto un nuovo dibattito scaturito da una nuova intervista dello stesso Ministro a proposito dell’allocazione delle risorse del recovery fund con la dichiarazione: “E’ utile anche al Centro Nord un Sud che cresce ed attivi la domanda di beni e servizi” e una richiesta pressante affinché si intervenga sui divari persistenti, se non accentuati, fra Nord e Sud del Paese. Nonostante il superamento di alcuni luoghi comuni e immagini stereotipate sul Sud, seguendo il dibattito e gli interventi di molti attori politico-istituzionali dei giorni agostani, si nota come il problema debba ancora confrontarsi con impostazioni che sembrano assomigliare a vecchie politiche di intervento. Il rischio assistenzialismo è dietro l’angolo. Il Mezzogiorno é da sempre un’economia troppo dipendente dai trasferimenti pubblici alle famiglie e alle imprese e questo ha certamente rappresentato una concausa di spirali depressive
Già il pionieristico lavoro di Ilvo Diamanti sul nascere e svilupparsi della Lega Nord, non a caso intitolato: Il male del Nord (Donzelli, Roma, 1996) aveva rilevato l’emergere di una “questione settentrionale” che vedeva i territori del Nord del Paese rivendicare una maggior efficacia delle istituzioni. Da allora, in certe fasi il dibattito si é incentrato sulla promozione dello sviluppo economico a fronte di differenziali che continuano ad aumentare. Non c’è il rischio di spaccare ancora di più il Paese? Perché non superare questo approccio e parlare solo di Italia (e delle sue articolate specificità territoriali) senza narrazioni “antiche” che rievocano vecchie prassi e molti risultati al di sotto delle aspettative?
* Professore associato di Urbanistica, Università IUAV di Venezia gastaldi@iuav.it