di Edoardo Zanchini*
Le città saranno il cuore della sfida che i cambiamenti climatici ci metteranno di fronte nel XXI secolo. Già ce ne stiamo accorgendo, con record in tutto il mondo di anni più caldi, frequenza di alluvioni e trombe d’aria, che proprio negli spazi urbani determinano i danni maggiori.
Le analisi e gli scenari di quanto potrà succedere nei prossimi decenni la troviamo in Rapporti che stanno arrivando a dettagliare con sempre maggiore precisione i diversi territori.
Le città italiane rischiano di diventare, purtroppo, il laboratorio dei diversi e più rilevanti effetti del climate change: da Taranto a Genova, passando per Venezia e Roma, Milano e Bari. Gli effetti dell’innalzamento del livello del mare, di giornate sempre più prolungate di ondate di calore e siccità, di piogge violente potrebbero mandare in tilt infrastrutture e spazi urbani, la vivibilità e convivenza dentro strade e palazzi.
Il rischio purtroppo esiste, più rinviamo gli interventi di riduzione delle emissioni come previsto dall’Accordo di Parigi e più dobbiamo preoccuparci. Di sicuro non possiamo stare a guardare questo scenario con il fatalismo con cui da sempre guardiamo alla fragilità del nostro territorio, come se fossero un prezzo da pagare per la straordinaria bellezza, a cui il destino ha deciso di abbinare sismicità e dissesto idrogeologico. È questo atteggiamento che continua a mettere a rischio la vita delle persone anche di fronte a terremoti che in altri Paesi non provocherebbero danni e che ci impedisce di gestire piogge violenti in contesti che sappiamo essere fragili e resi a rischio dal modo in cui si è costruito.
Non abbiamo alibi perché rispetto allo scenario climatico sappiamo tutto, possiamo contare su sistemi di previsione e di analisi del rischio che ci consentono di prendere decisioni e di salvare la vita delle persone, di mettere in campo progetti di riqualificazione e messa in sicurezza. Dobbiamo solo decidere di utilizzare queste analisi per ripensare l’approccio alle politiche nei territori, come del resto ci chiede da tempo l’Europa, sapendo che possiamo contare su importanti risorse da investire nell’ambito della nuova programmazione 2021-2027 che ha proprio l’adattamento climatico tra le sue priorità.
Dobbiamo farlo in fretta, perché è in aumento il numero degli episodi di piogge intense, allagamenti, trombe d’aria con danni alle infrastrutture e ai beni storici, blackout elettrici e lo stop di metropolitane e treni. La descrizione di questo scenario è raccontata nell’ultimo Rapporto dell’Osservatorio cittàclima di Legambiente presentato il 25 novembre https://cittaclima.it/wp-content/uploads/2020/11/CC_Rapporto_2020-def.pdf .
I numeri parlano chiaro: dal 2010 sono avvenuti quasi mille fenomeni meteorologici che hanno prodotto danni in 507 Comuni. La buona notizia è che sappiamo quali sono i territori più a rischio, i luoghi dove si sono ripetuti più volte – e dove quindi intervenire per scongiurare che avvenga di nuovo – e sono tanti gli esempi raccontati nel Rapporto di progetti, in Italia e all’estero, dove si sono scongiurati danni da alluvioni, evitato esondazioni e ridotto i danni grazie a interventi di adattamento di fiumi, piazze e strade a un clima che sta già cambiando.
Il problema è che per ora stiamo facendo il contrario, con cantieri che procedono lentamente e senza che sia chiaro perché sono stati selezionati. Anche perché siamo l’unico grande Paese europeo senza un piano di adattamento al clima, ossia lo strumento che dovrebbe fissare le priorità di intervento e quindi individuare i progetti da far partire nelle aree più a rischio. Soprattutto, continuiamo a spendere male: dal 2013 per rincorrere le emergenze sono stati investiti una media di 2 miliardi all’anno mentre per gli interventi di prevenzione solo 260 milioni, in un rapporto di oltre 6 a 1 che è la causa dei nostri problemi.
Per cambiare approccio abbiamo bisogno di aiutare i Comuni e le Autorità di distretto idrografico a individuare i progetti più urgenti e finanziarli, con benefici sia economici che ambientali. Mettere in sicurezza fiumi, piazze e strade vuol dire infatti aprire migliaia di cantieri diffusi, capaci di rendere più sicuri e accoglienti gli spazi delle città, togliendo asfalto e piantando alberi, creando parchi e piazze dove l’acqua è convogliata in cisterne e laghi creati ad hoc. È quanto immaginano di fare a Bologna e Milano con piani di adattamento che sono diventati un tassello fondamentale del nuovo approccio urbanistico alle trasformazioni della città. Ma è anche quanto vediamo in progetti da Amburgo a Siviglia, da Bangkok a Copenaghen, che fanno comprendere come la sfida progettuale, se affrontata con le chiavi giuste, sia un’opportunità di cambiamento in positivo per le città e in generale per un Paese come l’Italia. Dipende da noi la scelta di ribellarci al fatalismo climatico.
*Vicepresidente Legambiente e.zanchini@legambiente.it