di Francesco Gastaldi* e Federico Camerin**
Il tema della dismissione e valorizzazione dei patrimoni pubblici fa ormai parte del dibattito politico-amministrativo italiano da molti anni. Ciononostante è prevalentemente tematizzato secondo questioni di natura contabile e come possibile mezzo per la riduzione del debito pubblico, spostando in secondo piano altri aspetti legati alla pianificazione, alla gestione urbana, ai processi di valorizzazione culturale e alla promozione del territorio.
L’immobilismo che caratterizza il tema è in netta contrapposizione con la velocità estrema con cui il mondo politico ha cambiato e accumulato numerose disposizioni legislative. Le norme si sono sovrapposte senza affrontare il vero nocciolo della questione che dovrebbe stare alla base di ogni programma e strategia politica: la conoscenza e le relazioni con il territorio di appartenenza. I processi di dismissione e di valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, hanno riflessi e impatti rilevanti su molte questioni che riguardano le politiche di governo del territorio degli enti locali.
Rispetto al passato si è rafforzata la consapevolezza che i beni pubblici rappresentano per lo Stato e per gli enti locali non solo una fonte di spesa, ma anche una possibile fonte di ricchezza, se ben amministrati. L’esperienza ha dimostrato che una gestione esclusivamente pubblica non assicura necessariamente un utilizzo del bene conforme al principio costituzionale del buon andamento, mentre un eventuale passaggio di titolarità potrebbe finanche garantire una migliore utilizzazione economica dello stesso senza rinunciare alla sua funzione che può essere comunque garantita attraverso idonei strumenti giuridici.
Il forte limite delle amministrazioni locali, è la mancanza di una reale capacità di immaginare possibili nuovi usi di spazi e luoghi inquadrati in scenari complessi. L’assenza di chiare strategie di sviluppo territoriali fissate in documenti programmatici, contribuisce a ostacolare l’iniziativa imprenditoriale e l’interazione tra le diverse parti in causa. Inoltre, la tendenza meramente speculativa di molti operatori immobiliari, la scarsa capacità di proporre idee innovative e l’assenza di una reale analisi della domanda, porta al fallimento dell’operazione.
A fronte della partecipazione degli enti territoriali in vari progetti di valorizzazione dei cespiti, con il progetto “Valore Paese” si sono poste in evidenza varie carenze del sistema per valorizzare il patrimonio immobiliare. Si sono riscontrati in primo luogo la mancanza di finanziamenti per la messa in opera dei procedimenti e, in seconda battuta, la lentezza degli iter burocratici, come per l’aggiudicazione della gara pubblica e le procedure urbanistiche.
Una buona gestione del patrimonio immobiliare pubblico, può attuarsi in modo virtuoso solo se a monte vi è l’attenta regia degli enti pubblici che individuino le reali prospettive di trasformazione e sviluppo economico dei loro territori, previa una rassegna dei potenziali interessi pubblici e privati, sociali ed economici mobilitabili. Decisioni trasparenti e partecipate consentirebbero di realizzare quelle mediazioni rispetto ai conflitti che generalmente si verificano attorno a processi di trasformazione urbana e di governo del territorio. Con le novità introdotte dai provvedimenti legislativi a partire dal 2013 (federalismo demaniale, art. 26 del decreto “Sblocca Italia”, programma Federal Building), potrebbero intravvedersi elementi virtuosi per i beni pubblici, soprattutto militari, che potrebbero portare ad esiti reali per processi che si trascinano nel tempo. Dato per assunto la mancanza di risorse pubbliche locali per l’acquisizione dei beni, è stata promossa l’attualizzazione dei principi iniziali del federalismo demaniale e soprattutto la modifica dell’iter procedurale dei protocolli d’intesa che vede nei beni del Ministero della Difesa il principale oggetto degli accordi. In questo contesto appare fondamentale il ruolo affidato all’Agenzia del Demanio che, dopo un periodo di rapporto instabile e incerto con il Ministero della Difesa, sembra ora affidataria del ruolo e delle competenze per gestire in modo più efficace questi processi. Gli esiti degli interventi dovrebbero essere indirizzati verso il riuso, in particolare le dimensioni e l’ubicazione delle caserme dovrebbe consentire di mobilitare capitali pubblici e privati, per costruire partnership essenziali in questo momento di crisi economica.
*Università IUAV di Venezia gastaldi@iuav.it
** Università UVA di Valladolid, Spagna urbancame@alice.it