di Edoardo Croci*
Con oltre 87.000 morti premature all’anno, dovuti complessivamente alle concentrazioni di PM 2.5, NO2 e O3, l’Italia guida la classifica dei Paesi europei più colpiti dall’inquinamento atmosferico (AEA, 2018). La responsabilità di questo primato negativo è da attribuirsi soprattutto alle regioni della pianura padana, che figura con la Slesia l’area più inquinata d’Europa. A patirne le conseguenze sono in primo luogo gli abitanti dei grandi agglomerati urbani del Nord Italia.
Non c’è dunque da stupirsi se a marzo l’Italia è stata deferita alla Corte di Giustizia europea per la violazione dei limiti annuali e orari di NO2 (oltre che per il trattamento delle acque di scarico). L’Italia era già stata deferita lo scorso maggio per il mancato rispetto dei limiti del PM10 (dal 2015 è normato anche il limite per il PM 2.5).
Sono questi oggi tra gli inquinanti maggiormente critici, per i quali i progressi risultano insufficienti a garantire il rispetto delle normative in tempi ragionevoli. Infatti il deferimento alla Corte di Giustizia costituisce anche una bocciatura delle politiche finora adottate, i cui effetti proiettati nel futuro non sono risolutivi. Del tutto fuori portata risultano poi i ben più restrittivi valori guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che sono finalizzati alla tutela della salute indipendentemente dai costi economici necessari per il loro raggiungimento.
Grazie agli avanzamenti nei sistemi di monitoraggio ambientale e negli studi epidemiologici, che oggi sappiamo che l’inquinamento interessa in modo differenziato territori e popolazioni anche all’interno di una stessa città.
Risultano inoltre significative differenze nelle concentrazioni e/o nelle composizioni delle polveri sottili (ad esempio per quanto riguarda la componente del black carbon) a seconda della distanza da arterie trafficate (con importanti differenze anche nel raggio di poche decine di metri), nel piano degli edifici in cui si risiede o lavora (le polveri tendono a cadere e a risollevarsi col rotolamento degli pneumatici), della larghezza delle strade (per l’effetto canyon). Per quanto siano necessari studi più approfonditi ed i risultati di quelli attuali non siano del tutto convergenti, in generale vi è una correlazione tra vulnerabilità all’inquinamento e fragilità economica e sociale. Le misure di contrasto allo smog, oltre che avere impatti ambientali e sulla salute, si connotano dunque anche per il loro valore sociale ed economico.
L’OCSE (2017) ha stimato nel 5,7% il danno sul PIL dell’inquinamento atmosferico in Italia, ben al di sopra della media dei Paesi del gruppo. Un dato che imporrebbe politiche e misure ben più incisive delle attuali seguendo una logica di corretta valutazione dei costi e benefici.
Le politiche e misure per la qualità dell’aria hanno carattere multilivello. Particolarmente interessante è il caso di Milano, che nel 2008 ha introdotto nel centro storico un sistema di road pricing urbano, aggiornato da Ecopass con tariffe differenziate sulla base dei fattori di emissione dei veicoli ad Area C nel 2011 con una tariffa flat finalizzata a contrastare in primo luogo la congestione. La riduzione complessiva del traffico si è stabilizzata intorno al 35% rispetto al 2007, mentre i fattori di emissione totali del parco circolante nell’area si sono dimezzati – con una discesa ben più rapida di quella dovuta al normale tasso di sostituzione dei veicoli (Croci e Ravazzi, 2016).
Da 25 febbraio 2019 il Comune di Milano ha introdotto anche una low emission zone che interessa circa il 72% % dell’area urbana e oltre il 97% dei residenti, denominata Area B. In tale area è vietata la circolazione ai veicoli euro 0 benzina e ai veicoli euro 0, 1, 2 e 3 diesel. L’aspetto più interessante è che la limitazione verrà estesa progressivamente, già a partire dal prossimo ottobre, fino al divieto totale di circolazione dei veicoli diesel nel 2030.
Area B è partita in modo soft, forse troppo soft, per due ragioni: la prima è che sono attive solo 16 telecamere sulle 188 necessarie a presidiare tutti i varchi di ingresso all’area e si prevede che il sistema sarà completato nel 2020; la seconda è che i divieti di circolazione attuali ricalcano quelli già in vigore dallo scorso ottobre in tutta la Lombardia per l’attuale stagione autunnale – invernale, l’unica differenza consistendo in deroghe più restrittive di quelle regionali. Si tratta quindi, allo stato attuale, più di un periodo di prova che di una effettiva innovazione. Se non ci saranno rinvii il provvedimento dovrebbe comunque conquistare efficacia progressivamente.
Del resto diverse esperienze estere ci dimostrano che è possibile raggiungere risultati sostanziali anche in tempi molto brevi, utilizzando le leve idonee. E’ stato il caso di Londra con l’eliminazione del carbone e potrebbe essere il caso di Pechino dopo le Olimpiadi. Nel 2017 le concentrazioni medie annue di PM10 si sono abbassate sotto i 60 microgrammi al metro cubo, grazie ad un incisivo mix di strumenti regolatori ed economici, e progressi ancora più consistenti sono previsti al 2020 con il piano blue sky (UN Environment, 2019).
In generale la consapevolezza dei cittadini e la loro capacità di pressione si sono dimostrati gli elementi fondamentali per alimentare politiche coraggiose che raramente hanno anticipato i movimenti d’opinione nel timore (infondato) di perdere consenso.
* GREEN – Università Bocconi edoardo.croci@unibocconi.it