di Guglielmo Pilutti*
Il recepimento delle direttive europee per lo sviluppo di una mobilità sostenibile, insieme alla necessità di implementare un modello ideale di sistema di trasporto che riduca al minimo l’impatto ambientale, massimizzando l’efficienza, l’intelligenza e la rapidità degli spostamenti, si è concretizzato nei Piani Urbani per la Mobilità Sostenibile (PUMS) che incardinano gli obiettivi climatici ed energetici in ambito urbano riconosciuti dalle autorità comunitarie. Le caratteristiche di un PUMS si esprimono sotto forma di linee guida rivolte ai Comuni per lo sviluppo della mobilità sostenibile, recepite dall’allegato alla COM (2013) 913 “Idee per i piani di mobilità urbana sostenibile”.
Il PUMS è stato istituzionalizzato col Decreto Legislativo n. 257 del 16 dicembre 2016, recependo così la Direttiva 2014/94 per la realizzazione di un’infrastruttura per i carburanti alternativi. Solo col Decreto ministeriale del 4 agosto 2017 tali piani hanno trovato spazio in Italia diventando obbligatori per gli enti di area vasta e i Comuni singoli e aggregati con una popolazione superiore a 100.000 abitanti, seppur senza previsione di sanzioni. Sono obbligatori anche per le Città metropolitane per le quali sono diventati la condizione per accedere ai finanziamenti statali per sistemi ferroviari metropolitani, metro e tram. Per gli enti individuati è stata stabilita la scadenza del 5 ottobre 2019 – 2 anni dal Decreto – per l’approvazione del proprio Piano. A tutt’oggi hanno provveduto a farlo solo 2 Città metropolitane su 14, Bologna e Genova. La redazione dei PUMS prevede l’integrazione con gli strumenti di pianificazione urbana esistenti, come quelli urbanistici o di sostenibilità, valorizzando dunque i principi di integrazione, partecipazione, valutazione e monitoraggio. Si tratta di uno strumento di pianificazione strategica con un orizzonte medio lungo (10 anni) che permette di creare una visione di sistema della mobilità urbana e permette così di raggiungere obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Il Piano è volto a mettere al centro le persone garantendo due diritti fondamentali, quello a muoversi e quello alla salute, cercando al contempo di soddisfare l’esigenza di un ridisegno degli spazi urbani pubblici. Ciò deve avvenire limitando lo spazio per la sosta e le carreggiate per il traffico automobilistico. Devono essere messi in sicurezza i punti a maggior frequenza di incidenti, va potenziata l’offerta di mobilità sostenibile, di servizi pubblici, delle infrastrutture a disposizione della domanda debole, di sosta per cicli, di servizi di car sharing e bike sharing e di colonnine pubbliche atte alla ricarica.
Questi Piani affinano una visione d’insieme dell’area in cui volgono ad operare tenendo maggiormente conto delle dinamiche ambientali collegandole a quelle territoriali e di trasporto. Per questo volgono la loro attenzione alla “città funzionante” e al suo retroterra, spostando il focus sulla mobilità dei cittadini e poi su quella di passeggeri e merci. In aggiunta, nella redazione dei Piani viene estesa la partecipazione anche a “stakeholders” e cittadini. Per questo, il Piano contiene al suo interno tre diversi livelli di progettazione: il piano della logistica sostenibile, quello del traffico e il “biciplan”, semplificando così gli strumenti di pianificazione.
Ora è la mobilità a doversi adattare allo sviluppo urbano e non viceversa, come è avvenuto per le città nel corso dei secoli passati. Il ridisegno delle strade, l’incremento delle superfici destinate alla fruizione, alle relazioni, al mercato, al verde, al bello artistico, alle attività commerciali e in generale a migliorare la qualità della vita urbana, saranno in grado di condizionare e modificare in modo diffuso la mobilità delle aree urbane, piccole e grandi. Questi temi dovranno dunque essere necessariamente affrontati, anche se la transizione ecologica e sociale in tema di mobilità sostenibile appare, purtroppo, in una fase ancora molto iniziale.
* Luiss, Guido Carli University guglielmo.pilutti@studenti.luiss.it