di Vittorio Ferri*
Dopo la firma delle Intese preliminari tra il Governo e le Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto del 28 febbraio 2018 il dibattito recente sul regionalismo differenziato è stato caratterizzato dalla contrapposizione tra secessione-frustrazione dei ricchi e neomeridionalismo, dall’attenzione ai meccanismi di finanziamento delle materie richieste e al ruolo del Parlamento nel processo decisionale.
La bozza di legge quadro per l’autonomia differenziata, proposta dal ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia (non prevista dall’art. 116 della Costituzione), è stata approvata dalla Conferenza delle Regioni e contiene i principi per l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia (art. 1) e le modalità di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e degli obiettivi di servizio (art.2), da realizzare con la nomina di un commissario.
Per le materie oggetto di attribuzione saranno determinati i livelli essenziali delle prestazioni ed i fabbisogni standard per il finanziamento delle funzioni e la perequazione tra territori regionali.
A sorpresa, il comma c) dell’art. 1 presenta il ritorno della perequazione infrastrutturale, introdotta dall’art. 22 della legge 5 maggio n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale (l’ultimo provvedimento legislativo ordinario, organico e approvato in modo bipartisan) e riguarda «le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali».
Per favorire l’equità orizzontale la perequazione infrastrutturale dovrebbe essere trattata in modo ampio: domanda, dotazione e spesa per infrastrutture nelle province, continuità territoriale nei trasporti marittimi e aerei, i problemi delle aree interne, la parte più debole dei territori regionali per i servizi ricevuti dalla popolazione.
Nelle Intese preliminari non si faceva riferimento alla legge n. 42 del 2009 (e al Dlgs n. 68 del 2011) anche se l’articolo 116 stabilisce che le forme e condizioni particolari di autonomia devono attenersi alle norme specificate nell’articolo 119 della Costituzione, quindi alla legge e al decreto sopra citato. Dunque, la bozza di legge quadro presenta il ritorno alle questioni irrisolte del federalismo fiscale. Inoltre, prevede una valutazione degli esiti delle nuove politiche regionali, ma non presenta riferimenti alla giustificazione della maggiore efficienza delle Regioni (capacità amministrativa, solidità finanziaria, investimenti) rispetto allo Stato circa l’esercizio delle nuove funzioni richieste.
A ben vedere, le richieste di Emilia Romagna, Lombardia e Veneto per il governo del territorio, la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (sono simili per la Lombardia e il Veneto e molto diverse per l’Emilia Romagna) sono una posta in gioco sottovalutata del regionalismo differenziato perché non incidono dal punto di vista della spesa, ma sono di grande rilevanza per i profili organizzativi e regolamentari e in definitiva per lo sviluppo economico. La diversità delle richieste da parte delle tre regioni motore dell’economia italiana consentirà di verificare gli esiti: i) della riduzione della complessità delle normative, i guadagni di efficienza e di efficacia, le modifiche dei costi e dei benefici di numerose politiche regionali; ii) della devoluzione di alcune competenze ai governi locali; iii) delle politiche interregionali di sviluppo sostenibile, di riduzione dell’inquinamento, di miglioramento della qualità dell’aria e di sviluppo delle reti infrastrutturali; iv) della sostenibilità delle politiche regionali e la loro convergenza verso gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU.
Dalle scelte delle tre regioni emergono due modelli. Lombardia e Veneto puntano a massimizzare l’autonomia (le richieste riguardano tutte le 23 materie), mentre l’Emilia Romagna ha motivato, seppur in modo generale, le richieste limitate ad alcuni settori, ritenuti strategici per le necessità del territorio regionale. Essi sono molto diversi in termini di spesa per il finanziamento delle nuove funzioni. Tuttavia, le tre regioni hanno richiesto il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Anche questa scelta implica il ritorno ai principi della legge n. 42 del 2009 e offre la possibilità di disciplinare tributi di scopo e ambientali, che possono essere collegati alle politiche in materia di governo del territorio e tutela dell’ambiente.
*Università di Milano Bicocca e di Pavia vittorio.ferri@unimib.it