di Francesco Gastaldi*, Marco Traverso**
La gestione privata dei grandi impianti sportivi e il tema della realizzazione di nuovi stadi, contenuto nel DL 50/2017 e convertito con la Legge 96/2017è un argomento di attualità nel dibattito pubblico in Italia; in molti casi istanze di sviluppo e trasformazione urbana si intrecciano con la questione degli introiti economici delle società di calciosecondo una tendenza già delineata in altri Paesi europei. Lo stadio deve essere una struttura in grado di accogliere un ampio mix di funzioni (commerciali, congressuali, ricettive), mettendo in moto processi di rigenerazione urbana e incidendo quindi su politiche e scelte urbane.
Da qualche decennio le più importanti società calcistiche europee hanno trasformato le loro organizzazioni interne, rinnovando soprattutto il profilo gestionale: in particolare, il fine da conseguire è la proprietà dello stadio quale patrimonio della società per aumentare il fatturato, offrendo al pubblico elevati livelli di comodità, visibilità del campo, sicurezza e servizi multipli.
Ad oggi gli stadi italiani, caratterizzati dall’inadeguatezza dei collegamenti infrastrutturali che servono gli impianti sportivi, dalla loro vetustà (la maggior parte risale al periodo 1920-1940, con la manutenzione spesso limitata ad ottenere l’agibilità temporanea) e dalle grandi strutture realizzate per i Mondiali di calcio Italia ’90 (concernenti soprattutto l’ampliamento delle sedute), dovrebbero essere sostituiti da impianti più piccoli, destinati a essere utilizzati con calendari più articolati. Gli stadi, costruiti ai margini del centro abitato, dopo lo sviluppo urbano del secondo postguerra si trovano oggi in quartieri residenziali, spesso degradati e con scarsa qualità urbana e croniche carenze di spazi e servizi. Con il calo degli spettatori conseguente allo sviluppo delle TV a pagamento, tali attrezzature sono diventate un peso insostenibile per comuni e altri soggetti pubblici.
A penalizzare le società di calcio italiane è quindi il forte divario degli incassi derivanti dagli spettatori paganti e il minore impatto delle sponsorizzazioni e degli introiti commerciali. Una buona gestione finanziaria degli impianti sportivi è requisito indispensabile per il soggetto proprietario e diviene garanzia anche per l’utenza. Nel nostro Paese gli stadi di proprietà sono tre (Millennio Urbano, 2016) e, attualmente, vi sono alcuni progetti il cui iter tecnico-burocratico si trova nella fase preliminare. La Juventus F. C. è stata la prima società in Italia a dotarsi di un impianto di nuova concezione. In sinergia con il Comune di Torino, e senza legge ad hoc, in soli tre anni a partire dal 2009 è riuscita a realizzare il suo stadio con annesso centro polivalente riutilizzando parte delle strutture del precedente stadio Delle Alpi, costruito per i Mondiali di calcio del ‘90.
Il caso romano tiene aperto un dibattito che si interroga su quali siano i limiti dell’urbanistica contrattata e del project financing a fronte dello snellimento procedurale previsto dalla Legge 96/2017. Gli esempi citati dimostrano come l’investimento privato può riuscire a distribuire vantaggi anche al pubblico, a patto che la realizzazione di opere di interesse collettivo rappresenti un requisito fondamentale per i progetti. Se un tempo i comuni dovevano svolgere un ruolo centrale per il progetto, la costruzione, il finanziamento e la gestione di stadi, in un quadro di risorse pubbliche sempre più scarse sembra essenziale prevedere e agevolare l’ingresso di capitali privati. Questo passaggio, se opportunamente sfruttato e valutato in termini di impatti territoriali, può rappresentare una chiave per la riqualificazione urbana, innescando dinamiche virtuose.
*Università IUAV di Venezia gastaldi@iuav.it
**pianificatore territoriale marcotrav@gmail.com