di Valentino Castellani*
Il quinto Rapporto sulle città dedicato a “Le politiche urbane sulle periferie” ha riaffermato l’esigenza di un “approccio integrato” ai problemi delle periferie come l’unica progettualità capace di realizzare obiettivi efficaci per le politiche di rigenerazione urbana. Lo sintetizza molto bene Giovanni Laino, curatore del Rapporto, nel saggio conclusivo. “L’azione integrata (…) più che essere intesa come realizzazione di progetti nei quali confluiscono interventi di diversa natura (materiali e immateriali) e facenti capo a diversi settori di policy (urbanistica, ambiente, welfare, cultura ecc.), dovrebbe concretizzarsi nell’attivazione di processi, in modo da combinare sapientemente l’intervento sulla “città di pietra” con quello, più difficile e critico, sulla “città di carne (…)”
E’ dunque tempo di concentrarsi sul come intervenire, su quali strumenti attuare ai vari livelli delle responsabilità amministrative, nella consapevolezza che il cantiere da aprire nel Paese ha sullo sfondo anche la sfida di innovare gli strumenti della nostra democrazia. Molto ormai si è detto sulla molteplicità delle scale dei vari problemi, sui criteri per individuare le aree di intervento, sulla attenzione ai fattori abilitanti di processi di breve e lungo periodo: la cassetta degli attrezzi sembra ben rifornita.
Resta da fare un passo in avanti decisivo che riguarda la Cultura con la quale si affronta il problema e si attuano gli interventi operativi.
A questo proposito ritengo utile porre l’attenzione su un problema del quale si è parlato molto poco ma che ritengo di grande importanza per il successo delle politiche sulle periferie con un approccio integrato. Gli attori principali cui è affidata la regia degli interventi sono i Comuni. A loro vengono destinate le risorse e sono loro ad attuare i progetti di intervento con le proprie strutture operative. Ma i Comuni di norma operano con una struttura organizzativa “a canne d’organo”, per competenze verticali (urbanistica, ambiente, welfare, cultura ecc.), irrigidita anche dalle diverse appartenenze politiche degli Assessori che mal sopportano intromissioni nei rispettivi campi di competenza. Il risultato è scontato: anziché la cultura di un approccio integrato prevarrà la frammentazione degli interventi per ambiti di competenza assessorili. La somma di questi interventi non garantisce affatto, anzi compromette di sicuro la qualità dell’intero progetto. E’ allora necessario investire qualche risorsa anche per acculturare nella logica dell’approccio integrato sia gli amministratori che i funzionari dei Comuni. A Torino nella seconda metà degli anni ’90 fu fatta una bella esperienza di politiche sulle periferie. Dentro la struttura del Comune nacque il “Progetto Speciale Periferie”, affidato alla responsabilità di un unico Assessore e con una squadra di funzionari operativi in tutti gli assessorati coinvolti, sempre incardinati nella loro area di competenza, ma affidati alla guida dell’Assessore responsabile del progetto.
Un altro aspetto da considerare è dovuto alla complessità della realtà sociale sulla quale normalmente si vuole intervenire. Questa realtà porta con sé un carico di pregiudizi e di diffidenza nei confronti delle istituzioni e dunque ogni intervento si situa spesso su un terreno di conflitti non facili da governare. Un approccio integrato correttamente inteso richiede allora anche il coinvolgimento di professionalità specifiche nel campo della mediazione di questi potenziali conflitti. Non si possono affrontare queste situazioni con assemblee frontali guidate da un Assessore; bisogna piuttosto affidarsi alla competenza di operatori professionali che vanno coinvolti fin dall’inizio nel progetto.
Un requisito essenziale del come intervenire è dunque anche quello di innovare la cultura organizzativa delle nostre amministrazioni locali.
*presidente di Urban@it vcastellani40@gmail.com