di Patrizia Battilani**
Il turismo è una risorsa. Il turismo è un costo sociale e ambientale. Tutto il dibattito sullo sviluppo turistico si colloca all’interno di queste due sfide: generare benefici economici, mantenere bassi i costi sociali ed ambientali. Questa è non caso anche la definizione di sostenibilità.
Il bisogno di definire nuovi percorsi di sviluppo urbano a seguito del processo di deindustrializzazione ha spinto amministrazioni locali e comunità a puntare sul turismo. In questo contesto l’undertourism, cioè un contesto di scarsi flussi di visitatori, che da sempre è stata la caratteristica di gran parte delle città industriali, ha cominciato ad essere percepito come un’inefficienza, il non riuscire a mettere a reddito le risorse disponibili.
Nello stesso tempo le trasformazioni avvenute nella concezione dell’esperienza turistica ha fatto sì che i turisti si mescolassero sempre più con i residenti, popolando luoghi molto spesso non pensati e organizzati per loro. Se il turismo di massa si era soprattutto indirizzato verso territori rimasti ai margini del processo di industrializzazione, intervenendo su spazi spesso trascurati dai residenti, il turismo postmoderno ha progressivamente occupato i luoghi della socialità e della vita quotidiana dei residenti stessi. Così l’interesse per le esperienze di tipo urbano, ha convogliato flussi crescenti di visitatori verso i centri storici, creando situazioni di competizione nell’uso degli spazi e delle infrastrutture. Da qui la reazione o la over-reaction di una parte dei residenti, soprattutto di quelli che lavorando in altri settori, percepiscono del turismo più gli svantaggi che i vantaggi.
A questo si aggiunge che alcune destinazioni speciali, per la loro caratteristica e la loro storia si trovano da tempo a gestire un problema di eccesso di visitatori, una situazione di overcrowding che rischia di minare il sostegno della popolazione locale allo sviluppo del settore turistico.
Disegnare il turismo in un contesto urbano significa trovare un equilibrio fra queste tre situazioni: undertourism, over-reaction e over-crowding ricorrendo ad un mix di strumenti che da un lato consentano di governare i flussi e dall’altro rendano i cittadini protagonisti del processo.
Lo strumento più importante è il tourism design, termine con il quale si va ad indicare una nuova “filosofia” di pianificazione turistica. Esso implica la scrittura di percorsi per i turisti sulla base dei servizi presenti in un territorio con il duplice obiettivo di ottimizzare o predisporre l’uso dei servizi stessi e di distribuire la presenza dei visitatori su aree più vaste o adiacenti a quelle attrazioni che risultano già congestionate.
Inoltre il tourism design può essere concepito anche come un metodo e rappresentare l’avvio di un processo di coinvolgimento dei residenti e degli operatori economici di un territorio (tutti, non solo quelli che operano nell’accoglienza e nel catering) nel disegno di esperienze per i visitatori che colleghino il turismo con il tessuto economico locale e ne amplino i benefici economici. Di conseguenza le politiche turistiche diventano uno strumento che va oltre la dimensione settoriale e che può consentire l’allungamento della catena del valore delle diverse specializzazioni produttive di un territorio.
In questo contesto il ruolo che i governi locali possono/devono svolgere è molto importante perché spetta a loro utilizzare gli strumenti per una regolazione che consenta uno sviluppo sostenibile del turismo. Inoltre essi possono svolgere un ruolo importante anche nella costruzione di strategie territoriali più ampie, sovra comunali e a volte anche a sovraregionali, così importanti per un settore in cui la presenza di imprese e filiere transnazionali è così forte.
* Questo articolo è una anticipazione del Quarto Rapporto sulle città “Il governo debole delle economie urbane” edito dal Mulino che verrà presentato a Bologna il 25 gennaio 2019
**Università di Bologna patrizia.battilani@unibo.it