Presentato nel dicembre 2017 alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Rapporto “Centri storici e futuro del Paese”, realizzato da ANCSA e Cresme, sta tornando al centro dell’interesse, in concomitanza con una ripresa della discussione sui centri storici che attraversa il mondo della ricerca accademica e il dibattito pubblico.
Se si deve certamente riconoscere ad ANCSA il merito di avere focalizzato nuovamente l’attenzione sui centri storici, promuovendo una ricerca nazionale che fornisce una base comune di dati e una prima rappresentazione della complessità e delle diverse declinazioni del tema, la più recente ripresa della discussione si deve senz’altro alla “Proposta di legge in materia di tutela dei centri storici, dei nuclei e dei complessi edilizi storici” presentata dall’Associazione Bianchi Bandinelli lo scorso 12 novembre.
La proposta reagisce ad alcuni fenomeni di segno opposto, che anche il Rapporto ANCSA ben descrive: fra tutti, il depauperamento dei centri storici, che in alcuni casi si deve al soccombere delle funzioni tradizionali di fronte alla dilagante fortuna del turismo, mentre in altri corrisponde all’abbandono fisico di luoghi nei quali le persone faticano a trovare possibilità di sopravvivenza. L’Associazione Bianchi Bandinelli propone un provvedimento che, fissando univocamente il “Centro Storico” entro il perimetro del catasto del 1939, chiede per questa parte della città una norma speciale, con l’obiettivo principale del mantenimento della funzione residenziale (anche attraverso l’intervento pubblico, illustrato evocando l’esperienza “mitica” del PEEP del Centro Storico di Bologna), e il riconoscimento ai Comuni della possibilità di intervenire regolando le funzioni insediate – in particolare il commercio.
Attraverso queste sintetiche considerazioni il tema emerge in tutta la sua complessità: da una parte vi sono centri storici in cui appare necessario ed urgente fronteggiare le trasformazioni indotte dal turismo, come la proliferazione di AirBnB o la diffusione di una offerta commerciale oramai globalizzata ed appiattita sulla somministrazione di cibi e bevande di scarsa qualità; dall’altra in moltissimi centri storici del Paese si pone la questione opposta dell’abbandono, e la ristrutturazione degli edifici e la diffusione di nuove attività, anche commerciali o ricettive, se incentivata, potrebbe costituire una leva per il rilancio socio-economico ed il ripopolamento.
Un ulteriore elemento di complessità è dato dal fatto che, poiché le competenze in materia urbanistica sono regionali, l’attuale quadro sulla tutela e pianificazione dei Centri Storici risulta assai frammentato e disomogeneo nelle diverse aree del Paese.
La proposta di legge coglie la necessità di un provvedimento nazionale, ma lo declina entro una prospettiva di controllo che presuppone un giudizio univoco sulla negatività dei processi in atto e al tempo stesso attribuisce all’urbanistica un ruolo di guida dei fenomeni socio-economici che appare francamente inattuale.
La dissimetria delle condizioni delle città – dai 30 milioni di turisti all’anno di Venezia, ai 3 dell’emergente Bologna, fino alle opposte situazioni di abbandono dei numerosi “borghi fantasma” di cui è ormai disseminato il paesaggio appenninico – suggerisce, più che una regola generale determinata dalla rigidità del Piano Urbanistico, un bisogno di flessibilità, di strumenti capaci di accompagnare con equilibrio la continua (e diversa) evoluzione di ciascuna città.
Certo, anche un simile approccio necessiterebbe di alcuni strumenti generali, che non possono essere costruiti autonomamente a livello locale. Mi riferisco ad esempio a provvedimenti atti a rendere possibile un maggiore controllo sulle attività commerciali, o una più decisa limitazione nella diffusione di AirBnB e simili.
Questi provvedimenti dovrebbero essere assunti su base nazionale, in modo da offrire ai decisori locali la possibilità di impostare politiche efficaci di tutela dei centri storici e dei loro residenti.
I regolamenti per la limitazione del commercio nelle aree soggette a tutela, a cominciare da quello sperimentato a Firenze, sono impostati come ordinanze con l’obiettivo principale di “vietare” alcune attività o modi d’uso dello spazio, mentre un lavoro equilibrato sul tessuto commerciale dovrebbe contemplare anche politiche e azioni volte a promuovere le attività che si considerano di qualità, o a salvaguardare le tipicità e gli esercizi commerciali storici.
Il tema è in definitiva molto complesso, e invoca un approccio strategico specifico in ogni città, orientato sia al progetto che alla gestione. Un approccio che, muovendosi entro la cornice di tutela tracciata dal Codice per i Beni Culturali e il Paesaggio, non può limitarsi al solo centro storico, ma deve considerare le relazioni con un più ampio contesto urbano e territoriale (che a sua volta può essere di riferimento per lo sviluppo di politiche di valorizzazione e il riequilibrio o la promozione dei flussi turistici).
*Università di Bologna e Assessore del Comune di Bologna valentina.orioli@unibo.it